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domenica 24 marzo 2013

THINK TANKS


Ithink tanks sono serbatoi di pensiero. Le fondazioni e i serbatoi di pensiero hanno avuto, e ancor oggi possiedono, il compito di influenzare politici, università e di plasmare le menti del popolo, particolarmente quelle dei giovani, così pesantemente vittime di questa cultura giustificazionista dell’egoismo collettivo e dei falsi miti del profitto e della visibilità mass-mediatica.
I giovani dalle menti più brillanti in economia e matematica vengono scelti e lautamente finanziati da think tanks e fondazioni per scrivere libri che appoggino la religione liberista, per diventare dirigenti di comunità, professori, o per essere introdotti nelle lobby. Quindi le elite economiche hanno dapprima inserito in tutte le università del mondo professori che potessero sostenere la causa dei businessmen; hanno comprato lo spazio sulle riviste economiche per promulgare le loro idee; e lo stesso hanno fatto con i giornali e i programmi televisivi. L’Esistenza Commerciale Collettiva doveva dilagare senza alcuna opposizione, nelle menti di tutti, dobbiamo essere tutti uguali, il diverso non è accettato.
Le fondazioni sono centri culturali e di raccolta di fondi.
Le prime istituzioni Think Tanks sono la Heritage Foundation , il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi delle destre economiche, scegliere nelle università i cervelli più brillanti, indottrinarli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società in modo capillare. Per capire quando sia potente una Think Tank cito un esempio piuttosto recente. Quando gli Usa iniziavano a prendere in considerazione un attacco all’Iraq per attuare la loro politica imperialista, la popolazione americana non era favorevole. Un sondaggio CBS-New York Times condotto nel 2002 riscontrò che due terzi degli americani non erano favorevoli alla guerra. Affinché questa campagna militare avvenisse col favore del popolo una Think Tank neoconservatrice (l’American enterprise institute fondata nel 1943), attraverso il giornale “Weekly standard” creò il consenso alla missione. Questo è potuto succedere perché nessuno sapeva, chi intuiva era un caso isolato e chi non parlava ha voluto farci questo. Un inganno che in tre decadi rovesciò 200 anni di lotte popolari.
Nella scalata verso il pieno potere ci si rese conto che i cittadini si sarebbero potuti ribellare, come già in precedenza, e imporre ai governi di spendere a deficit (possibile dal 1971 con l’ abolizione del Gold Standard) per garantire una piena occupazione. Così, i maggiori Think Tanks del mondo, a partire dagli anni ’70, sulla spinta propulsiva di un nuovo liberismo, hanno iniziato a diffondere il terrore di un qualcosa di assolutamente innocuo, ma che anzi rappresenta un indicatore economico positivo tanto più è numericamente grande: il debito pubblico. Si diffuse un sapere errato che rispecchiava la chiara ignoranza sui principi fondamentali del funzionamento della politica monetaria di uno stato moderno da parte di chi predicava che se lo stato spendeva, tutti ci rimettevano perché l’inflazione sarebbe salita alle stelle. Seconda convinzione sbagliata che veniva fornita, era l’equazione stato = popolo, pertanto se lo stato è in deficit, lo è anche la popolazione. 
Il piano per creare la paura del debito pubblico ha trovato la sua formulazione teorica attraverso Milton Friedman e la sua teoria del neoliberismo di cui tra breve tratteremo. Grazie a questa teoria a partire dagli anni settanta i media di tutto il mondo hanno iniziato a propagandare che il deficit è male, che lo stato è come una famiglia e tutta questa lunga serie di assurdità già confutate.
Un altro ruolo fondamentale è stato rivestito da Karl Brunner, svizzero, che ha esportato il neoliberismo anche in Europa quando Keynes aveva ancora influenza. Brunner apparteneva alla Mont Pèlerin Society e aveva organizzato l’importantissima  conferenza di Konstanz sulla teoria monetaria (1970). Qui Brunner aveva convinto i politici che Keynes era ormai sorpassato e che fondamentalmente si sbagliava. Invitò invece i leader europei a “migliorare” l’insegnamento dell’economia nelle università soprattutto tedesche e svizzere. L’ideologo denunciava infatti un “gap nella qualità della ricerca e dell’insegnamento in Europa rispetto agli Stati Uniti”. Questo gap cos’era se non l’assenza del neoliberismo in Europa?               
I media oggi parlano tanto spesso del debito, che abbiamo finito per credere che esista veramente un deficit inteso come debito che i cittadini devono ripagare. Ma vi ricordo che i giornalisti dei nostri mezzi di informazione non sono economisti, e quindi per fare i loro articoli intervistano importanti economisti. Ma come vi ho detto questi sono quasi tutti di scuola neoliberista grazie alle Think Tanks che li hanno plagiati. Questo per dire che non tutti i giornalisti tacciono queste cose, ma sicuramente una buona parte di essi, soprattutto di quelli importanti che rischierebbero altrimenti di perdere la carriera se non di peggio. Di economisti contro il sistema che hanno denunciato la falsa pericolosità del debito ce ne sono stati, ma appartengono a scuole minori (la stragrande maggioranza delle università di economia è di matrice neoliberista) meno finanziate perché non allineate alle elite economiche neoliberiste, i quali risultano di conseguenza minori in numero e in importanza. Se i giornalisti, volenti o nolenti, non informano i loro cittadini sulle questioni fondamentali, come possono questi ultimi esprimersi? E come possono i cittadini governarsi se nemmeno conoscono i principali codici di funzionamento della moderna economia? Vi ricordo che l’economia centra in ogni ambito. Anche in quello sentimentale. Se il sistema in cui ti trovi non ti assicura un lavoro stabile, una casa, e ospedali funzionanti, tu devi lottare continuamente per sopravvivere. E questa lotta taglia il tempo necessario per costruire relazioni umane importatati. Un mondo simile fa litigare con i propri cari quasi inconsciamente per sfogare la rabbia della propria condizione. Impedisce ai giovani di progettarsi in un futuro. Oppure se il sistema economico funziona è tutto il contrario. Il deficit non è un debito da pagare, è un semplice dato. Siamo stati educati fin da piccoli che c’è un grosso debito da pagare.  Ma come in ogni regime dittatoriale, si insegnano certe cose sin da quando si è bambini e alla fine si finisce per crederci. E’ una gravissima lacuna che non si insegni alla popolazione il codice fondamentale che regola la nostra sciagurata economia. Sapere è potere, e le elite lo sanno bene.
Ecco le principali Think Tanks e fondazioni: American Enterprise Institute, Cato Inst., Heritage Foundation, Olin Found., Volker Found., Atlas Found., Coors Found., Rochefeller Found., Acton Institute, Washington Policy Center, Manhattan Institute for Policy Research; in Gran Bretagna, Adam Smith Institute, Institute of Economic Affairs, Stockholm Network, Bruges Group, International Policy Network; in Francia, Association pour la Liberté Economique, Eurolibnetwork, Institut de Formation Politique; in Italia, CUOA, Adam Smith Society, Istituto Bruno Leoni, Acton Italia, Arel, CMSS, Nomisma, Prometeia; in Germania: Institut fuer Wirtschaftsforschung Halle, Institut fuer Weltwirtschaft, Institut der Deutschen Wirtschaft Köln. E praticamente in tutto il mondo la Mont Pelerin Society.                            
Questi Think Tank e fondazioni hanno creato il pensiero unico in economia.

A COSA SERVONO LE TASSE?


Le tasse rivestono cinque ruoli nelle moderne economie:
1)Ogni stato stabilisce che le tasse vanno pagate nella moneta che decide di emettere. Questo è un punto fondamentale. Ogni cittadino di ogni nazione infatti si vede costretto a guadagnare il denaro emesso dal proprio stato per poter pagare queste tasse. Se le tasse non ci fossero, ogni piccola comunità potrebbe decidere arbitrariamente di emettere una propria moneta a suo piacimento, disgregando lo stato. Dovendo invece pagare delle tasse con quella moneta, tutti devono cercare di guadagnare quell’unica unità di conto che accetta lo stato. Per poterla guadagnare, le persone devono lavorare per lui. Quando una persona lavora per lo stato in cambio riceve la moneta, ossia la possibilità di pagare le tasse che impone. Anche chi non è un dipendente pubblico riceve indirettamente il denaro dallo stato: il denaro passa prima nelle mani dei dipendenti pubblici e pensionati per confluire nelle tasche dei lavoratori stranieri e nazionali non statali. Se lo stato è ben organizzato, e questo è un problema politico, non economico, riesce a coordinare le azioni di tutti per raggiungere il benessere collettivo. Le tasse quindi permettono allo stato di coordinare il lavoro di tutta una popolazione affinché non regni il caos e la violenza più assoluta.
2)Le tasse servono a limitare la formazione di potenti oligarchie. Le oligarchie di potenti potrebbero raggiungere livelli tali di ricchezza e ricoprire un ruolo tanto importante rispetto all’intera società, da influenzare l’operato dei politici che finirebbero così, inevitabilmente, a giocare gli interessi di quelle stesse oligarchie. Ma potrebbe anche andare peggio: queste oligarchie potrebbero organizzarsi per sovvertire l’ordine costituito e instaurare un loro regime. Se lo stato interviene tassando prevalentemente i soggetti portatori di questo rischio, si scongiura tale minaccia. Se poi non si tassa a sufficienza chi di dovere questo è sempre un problema politico. Naturalmente questo ruolo delle tasse non ci sarebbe se il sistema economico nel quale operiamo non porti inevitabilmente alla concentrazione di grandi ricchezze nelle mani di pochi.
3)Scoraggiano certi comportamenti che la comunità ritieni sbagliati, come l’imposta sul fumo.
4)le tasse sono anche uno strumento per raggiungere la stabilità dei prezzi. Se c’è troppo denaro in circolo nell’economia che sta causando un tasso di inflazione troppo alto, basta che lo stato aumenti momentaneamente la tassazione. Aumentando la tassazione le persone hanno meno denaro da spendere; avendo meno denaro da spendere, compreranno di meno; se la domanda cala i prezzi che prima erano saliti ora tornano a scendere. In caso contrario, se le tasse fossero così onerose da far ricadere l’economia in una spirale deflazionistica (= troppi beni reali, troppo poco denaro per acquistarli), lo stato potrebbe diminuirne il carico permettendo così l’entrata in circolazione di maggiore quantità di denaro. Più denaro nell’economia significa maggiori spese da parte della popolazione; maggiori spese significa aumento della domanda aggregata (totale), e quindi si risolve il problema iniziale dei beni che restavano invenduti. La deflazione è l’altra faccia della medaglia dell’inflazione. Se i beni reali mantengono un prezzo costante, ma i redditi calano per via di tasse sempre più onerose, il potere d’acquisto delle famiglie cala. L’inflazione è temuta nella misura in cui fa crollare il potere d’acquisto delle famiglie. È chiaro quindi che perde di senso applicare una politica volta alla stabilità dei prezzi ma che porta come conseguenza il calo del potere d’acquisto delle famiglie.
5)finanziare la spesa pubblica nei paesi a moneta non sovrana.

Da quanto appena detto risulta chiaro che le tasse non sono “cattive” se gestite con consapevolezza e intelligenza. Le tasse permettono a tutta la popolazione di lavorare con coordinazione, disincentivano comportamenti e consumi nocivi rispetto ai valori in cui la società si riconosce, permette di mantenere i prezzi stabili e di vivere davvero in democrazia senza che esistano persone così ricche e potenti da stare al di sopra della legge e da gestire la cosa pubblica come cosa propria. Anche qui è inevitabile dire che i politici e gli economisti devono avere ben chiaro cosa è la moneta e come funziona uno stato a sovranità monetaria, altrimenti si ricade in errori banali scambiando le tasse come mezzo di finanziamento dello stato. Errori da cui discendono poi politiche deflazionistiche nocive per il tessuto economico del paese che id fatto impoveriscono i lavoratori.
Un'altro mantra propugnato sino alla nausea dai maggiori Think Tank del mondo, ovvero che le tasse sostengono la spesa pubblica, è così ora smontato.

lunedì 18 marzo 2013

CIPRO, FISCHIETTI E TAMBURELLI

Abbiamo tutti ascoltato con stupore di ciò che sta accadendo a Cipro. L'Eurogruppo ha stabilito un piano d'aiuti da 10 miliardi di euro (comunque inferiori ai 17,5 richiesti) in cambio però, di un pesante prelievo sui depositi bancari: del 6,5% per i conti sotto i 100.00 euro e 9.9% per quelli superiori. La conseguenza è stata la corsa agli sportelli della popolazione spaventata di perdere i suoi risparmi. Il fenomeno ha impaurito il governo tanto da decidere di lasciare chiuse le banche anche domani nella speranza che scemi il terrore. Inoltre per ottenere il prestito, secondo la solita strategia dei fanatici del libero mercato, Cipro deve promettere le famose "riforme strutturali" alla Mario Monti, ovvero privatizzazioni (previste per il valore di 1,4 miliardi) e aumento della tassazione dal 10% al 12.5%. Sarebbe il quarto salvataggio dopo Grecia, Portogallo e Irlanda, una ulteriore dimostrazione che paesi privi della sovranità monetaria, come quelli che hanno adottato l'euro, sono votati alla bancarotta, dopo aver naturalmente svenduto tutto il patrimonio pubblico e aver succhiato via i risparmi di una vita di milioni di lavoratori. L'elemento di maggiore preoccupazione è però che si è riusciti ad arrivare fino a prelevare direttamente i depositi bancari della popolazione. E dove vanno a finire questi nostri soldi? Esattamente dove sono finiti quelli delle pensioni italiane ridotte dal governo Monti: alle banche. E' la dittatura del libero mercato, il famoso lemon socialism: lo stato deve limitare il suo intervento nell'economia al mantenimento dell'ordine pubblico (per salvaguardare il diritto di proprietà dei grandi capitalisti), e al salvataggio del grande business quando fa scommesse borsistiche troppo azzardate.
Di fronte ad un opera di brigantaggio e di spoliazione di ricchezza come quella che tutta la popolazione europea sta vivendo, in nome di chi sa quale "libero mercato" (libero per chi?), cosa fanno i sindacati? Cosa fanno i cittadini di Cipro? Vedo al telegiornale che sono per le strade con fischietti, tamburelli, qualche cartello e megafono...Ebbene? dopo questa ridicola manifestazione di dissenso si pensa di aver risolto tutti i problemi? Domani il prelevamento non avverrà? Credo proprio di no. Di fronte a tanta vergogna altro che fischietti e tamburelli, bisognava scendere in piazza tutti uniti e restarci a tempo indeterminato sino a quando non si sarebbe deciso diversamente, si doveva bloccare il paese! Questo avrebbe dato un bello scossone iniziale!Così dovremmo agire anche qui in Italia!! Basterebbe studiare un pò di economia per smontare questi pagliacci criminali neoliberisti del FMI, del WTO e questi famosi "tecnici". Le loro quattro formulette in croce sono patetiche, anacronistiche e fondamentalmente errate, ma ripetute sino alla nausea come se bastasse ripeterle più volte affinché diventino più vere! Se studiassimo un poco di economia e avessimo il fegato e l'ardore di lottare per realizzare il nostro ideale, nulla ci potrebbe fermare. Sapienza e Determinazione in mano al popolo, lo rendono necessariamente invincibile. Invece che cosa vedo ogni giorno? Tante persone prive di un ideale per cui lottare, molte che sono venute a compromesso i propri ideali e dunque con se stessi accontentandosi di tirare a campare...fondamentalmente tutti chiusi nel proprio egoismo..e non riusciamo a capire che forse è proprio questa nostra chiusura agli altri a renderci deboli. Attaccare un membro di una mandria quando è solo, è facile per il leone; ma quando la mandria è unita, il leone neanche ci prova! In trent'anni il neoliberismo ci ha educati a pensare soltanto a noi stessi, e così ci siamo disgregati perdendo di vista la fondamentale natura sociale dell'uomo. E questo ci ha reso vulnerabili e infelici, perché la solitudine è triste! Torniamo ad unirci, a credere in un ideale, perché un sogno è tanto più realizzabile quanto più noi crediamo che lo sia! In un mondo fondato sulla solidarietà, e non sulla competizione; in un mondo fondato sull'altruismo, e non sull'egoismo; in un mondo fondato sull'invincibile forza dell'unione e della concordia, ancora, io credo!