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venerdì 30 novembre 2012

LA TEORIA DI FRIEDMAN

Malgrado la crescita record che le economie keynesiane registrarono negli anni ’50‘-’70, una piccola cerchia di professori e studenti eredi dei vecchi economisti liberisti, sviluppò una nuova dottrina anti-keynes per rivalutare il liberismo puro. Il centro di questa corrente di pensiero fu l’Università di Chicago e il grande ideologo fu l’economista di scuola austriaca Friederich von Heyek. Le sue lezioni propugnavano un mondo ideale totalmente regolato dalle leggi economiche, senza interferenze da parte dello stato. Naturalmente questo mondo è inverosimile, poiché il mercato non è in grado di autoregolarsi correttamente, se non ci credete guardate il mercato di oggi, il cosiddetto “libero mercato” , esso è profondamente ingiusto protegge gli intessi dei più ricchi e ignora totalmente le richieste dei meno abbienti. Negli anni ‘50 milioni di persone in Europa e in America potevano curarsi gratuitamente, percepire reddito anche in situazioni di malattia, infortunio, ferie, disoccupazione; accedere a una pensione di anzianità; usufruire di strutture decenti per l’istruzione, l’assistenza all’infanzia; usufruire di efficienti sistemi di trasporto ferroviario, strade nuove e scorrevoli, quartieri finalmente vivibili…. Le economie “aiutate” dai capitali statali, spesso da aziende nazionalizzate (cioè di proprietà dello stato), fornivano servizi essenziali a prezzi irrisori: luce, acqua, gas diventarono comuni nelle abitazioni delle principali cittadine dei paesi industrializzati. Tutti gli indici economici e sociali segnavano progressi più o meno sensibili. La ricchezza complessiva aumentava e questa crescita era condivisa dall’intera popolazione. Nessun altro periodo nella storia dell’umanità ha conosciuto un progresso così forte per un numero così ampio di persone. Ovunque, il grande balzo in avanti da un sistema semi-feudale a una società industriale, è avvenuto con l’impegno dello stato. Certo non erano dei santi i politici di allora ma avevano libertà d’azione e spesso per continuare a governare facevano qualcosa di utile per garantirsi una rielezione. Tutti stavano meglio tranne i grandi capitalisti che vedevano in pericolo il loro ruolo, i loro privilegi, e in un futuro non troppo lontano vedevano le masse impadronirsi definitivamente anche dei mezzi di produzione.
Cosa potevano fare i grandi capitalisti e la finanza? Finanziava ampiamente persone che costruissero un sapere economico di tutto vantaggio per loro, e che fosse accettato ingenuamente dalla popolazione. Il dipartimento di Chicago diventò “Scuola di Chiacago” grazie a un allievo di Heyek particolarmente carismatico e fortemente deciso a scuotere le fondamenta della teoria economica: Milton Friedman. In cosa consiste questa nuova dottrina? Consiste nella riproposizione del liberismo puro, un “nuovo liberismo” dopo quello visto a inizio Ottocento. Un’ideologia costruita intorno ad un fine e ad un mezzo e con una premessa. La premessa è la “visione” di un mondo ideale in cui domanda, l’inflazione, la disoccupazione si regolano alla stregua di forze naturali (cioè, si autoregolano). Il mercato, visto come un ecosistema in grado di autoregolarsi, avrebbe dato vita all’esatto numero di prodotti al prezzo esattamente adeguato, realizzati da lavoratori che percepivano salari perfettamente sufficienti a comprare quei prodotti: un mondo perfetto, di piena occupazione, creatività e, soprattutto, crescita perpetua. Pertanto, oggigiorno secondo il sistema economico neoliberista la povertà non dovrebbe esistere. Eppure, guardate in quali condizioni ci troviamo dopo oltre 30 anni dall’ applicazione del neoliberismo! 44 milioni di americani si nutrono una volta al giorno e ancora l’ 80% delle ricchezze globali è posseduto dal 20% della popolazione mondiale e vice versa l’ 80% della popolazione mondiale dispone del 20% delle ricchezze. Allora questo sistema è errato? Assolutamente no, ci vogliono fare credere che la società in cui viviamo è la migliore tra tutte. È stato studiato nei minimi dettagli affinché si riuscisse ad arrivare esattamente a questa condizione. Tutto ciò esiste poiché una piccola elite economica vuole aumentare le proprie ricchezze in maniera smisurata a discapito degli onesti lavoratori. Questa “visione” rende la dottrina economica più un’ ideologia che un modello scientifico basato su qualche evidenza storica. Una caratteristica importante perché altrimenti non sarebbe comprensibile il fondamentalismo con cui è stata portata avanti da poche centinaia di economisti e tecnocrati, di grande e crescente influenza. Il fine è quello di promuovere a tutti i livelli (diffondere il credo forse si addice meglio) l’assioma per cui se gli individui agiscono secondo i propri egoistici interessi, creano benefici massimi per tutti. Se qualcosa va storto – inflazione sale, la crescita diminuisce – l’unica spiegazione è che il mercato non è abbastanza libero. La soluzione, ovvero i mezzi per creare la società perfetta, è un’applicazione più rigida e più completa delle norme fondamentali. Al di là delle teorie, la ricetta di Friedman è indicata nel suo Capitalismo e libertà e rappresenta la mappa di riferimento per le politiche che hanno dominato il mondo dagli anni ’80 a oggi.
1)   Deregulation.
Riprendendo la teoria sull'abolizione dei dazi doganali, e più in generale delle tasse protezionistiche, viene auspicato l’annullamento di tutte quelle regole e norme che limitano l’accumulazione del profitto. Si favorisce quindi l’ aumento del profitto senza nessuna limitazione.
2)   Privatizzazione.
È la pietra angolare del neoliberismo. Partendo dal dogma della maggiore efficienza dei privati rispetto al pubblico, viene auspicato la sostituzione dei servizi pubblici con servizi privati e privatizzati. Friedman proponeva la privatizzazione della Sanità, delle Poste, della Scuola, delle Pensioni e dei Parchi Nazionali.
3)   Riduzione spese sociali.
Per ripulire l’economia inquinata dall’attività dello stato occorre ridurre drasticamente le spese sociali. Tagliare i fondi per il sistema pensionistico, l’assistenza sanitaria, il salario di disoccupazione eccetera.

Friedman insiste molto sulla riduzione delle tasse; secondo lui devono essere basse e con tassazione fissa indipendente dal reddito. (Questa misura sarebbe servita, in seguito, da cavallo di troia per ottenere consenso politico anche nelle fasce sociali pesantemente danneggiate da tale provvedimento). 
La ricetta, che passerà all’opinione pubblica col nome di neoliberismo, era presentata da Friedman e dai suoi seguaci come una vera e propria “scienza esatta”. Qui sta il clamoroso successo di una pratica economica disastrosa: presentare con l’aurea della “imparzialità scientifica” modelli matematici del tutto privi di coerenza con la realtà, ma di straordinario beneficio per i settori più dinamici della finanza e della imprenditorialità mondiale. Argomentazioni improponibili per manager e politici, apparivano in tutt’altra veste se presentati da un matematico e brillante oratore come Milton Friedman. La possibilità di contrastare le politiche keynesiane con posizioni pseudo-accademiche portò alla Scuola di Chicago, a partire dagli anni Sessanta, donazioni a valanga e grandi opportunità di propaganda (certamente sproporzionati in confronto al numero dei suoi esponenti). Per capire l’aria nuova che circolava nell’ambiente basti ricordare che il premio nobel per l’economia andò nel 1974 a Heyek e nel 1976 a Friedman. 

La parte centrale della teoria neoliberista riguarda la Phillip’s Curve. Friedman sosteneva che la Phillips Curve non fosse del tutto giusta. La Phillips Curve mostra una relazione tra disoccupazione ed inflazione. Se la disoccupazione diminuisce l’inflazione aumenta necessariamente, e viceversa. E non c’è modo per ridurre al contempo disoccupazione ed inflazione. Studi successivi di Milton Friedman e Edmund Phelps volevano dimostrare che solo a breve termine si poteva ridurre la disoccupazione (attraverso l’allargamento della spesa pubblica per creare nuovi posti di lavoro).  A lungo termine però le cose sarebbero cambiate, e si sarebbe raggiunto un tasso naturale di disoccupazione.
Nel grafico la linea blu scuro è la Phillips Curve del presente e l’economia si trova inizialmente nel punto A con un certo tasso di inflazione e di disoccupazione. Per semplicità assumiamo che il tasso di disoccupazione iniziale sia già il tasso di disoccupazione naturale, sotto il quale non si può scegliere. Supponiamo poi che un governo voglia cercare di ridurre il tasso di disoccupazione; per fare ciò aumenta il denaro in circolo, crea nuovi posti di lavoro, e questo genera inevitabilmente (secondo la relazione della curva di Phillips) un aumento del tasso di inflazione che porta l’economia studiata nel punto B1. Questo punto ha ordinata maggiore di quella di A e ascissa minore, perciò nel punto B1 vi è un aumento dell’ inflazione e una diminuzione della disoccupazione. Gli studi successivi sulla Phillips Curve (quelli fatti da Friedman e Phelps) dicono che col tempo l’inflazione, essendo aumentata, avrebbe eroso i salari reali. I lavoratori avrebbero allora richiesto aumenti salariali sino a tornare ad un livello di salari reali uguale a quello iniziale. I nuovi salari superiori avrebbero fatto tornare il tasso di disoccupazione ai livelli iniziali, prima del tentativo di diminuire la disoccupazione. Tuttavia, se la disoccupazione tornava al tasso precedente, l’inflazione non regrediva. Quindi, in termini grafici significa che in A abbiamo un determinato tasso di inflazione ya  e di disoccupazione xa. Se volessimo quindi diminuire il tasso di disoccupazione dovremmo necessariamente aumentare il tasso di inflazione. La situazione appena descritta è individuata dal punto B1 . Tuttavia, come già detto, secondo Friedman e Phelp l’aumento dell’inflazione eroderebbe i salari e perciò il numero dei disoccupati tornerebbe ai livelli iniziali. Questo passaggio, graficamente parlando, equivale allo spostamento della Phillips Curve verso destra (curva in rosso nel grafico). Si ottiene quindi una nuova curva, sulla quale è indicato il punto B, esso non è affatto in una posizione casuale, equivale infatti a B1 traslato, il quale si trova sulla curva  originaria di colore blu. Analizzando le sue coordinate si deduce che B  ha stessa ordinata di B1 e medesima ascissa di A. Ciò significa che nel punto B si ha rispettivamente lo stesso tasso di inflazione di B1 e lo stesso di disoccupazione di A, ed è infatti quello che affermavano i due economisti americani (Friedman e Phelps): se si riduce il tasso di disoccupazione, a causa dell’ inflazione quest’ ultimo tornerà al livello iniziale, mentre l’ inflazione resterà tale. Cioè se la disoccupazione diminuisce dal 5% al 2%, l’ inflazione aumenterà di x, poniamo 3%, e resterà costante. Se ripetessimo questo passaggio otterremo la terza curva con il punto C che descriverebbe la situazione appena trattata. Quindi se uniamo i tre punti A, B e C otteniamo una retta parallela all’ asse Y, ciò significa che per una qualsiasi diminuzione del tasso di disoccupazione, l’ inflazione aumenterebbe facendo nuovamente aumentare il livello di disoccupazione. Tuttavia un rinnovato aumento della disoccupazione non fa calare l’inflazione generata col precedente tentativo di ridurre la disoccupazione.

Friedman sosteneva quindi che il calo della disoccupazione non avrebbe portato ad un semplice aumento dell’inflazione, ma anzi l’inflazione sarebbe cresciuta esponenzialmente diventando incontrollabile e alla fine comunque non si sarebbe neppure riusciti a ridurre il tasso di disoccupazione a lungo termine. Un disastro che sarebbe quindi stato figlio dell’aumento del debito pubblico (è infatti spendendo a deficit che si può ridurre o eliminare la disoccupazione). Friedman e Phelps affermavano che spendere a deficit significava fare aumentare l’inflazione e quindi peggiorare le condizioni della popolazione. Tuttavia ciò è falso, poiché se lo stato spende a deficit in maniera adeguata, finanziando i settori che ne hanno bisogno, oltre all’ aumento di denaro in circolo, crescerebbe anche la quantità di beni prodotti, quindi il rapporto tra denaro e beni economici sarebbe costante, perciò l’ inflazione non ci sarebbe. Se per esempio al tempo t0 il rapporto tra I, inflazione, e beni economici in circolo, BE è uguale a I/BE=k; e al momento t1 lo stato spende a deficit adeguatamente I aumenterebbe, poniamo di x, e BE aumenterebbe, stabiliamo di y, allora il loro rapporto sarebbe costante: I+x/BE+y=k.(esempio, t0 I=2 BE=4 I/BE=2/4=1/2; t1 I aumenta di 2 e BE di 4 allora I+2/BE+4=2+2/4+4=4/8=1/2). Friedman e Phelps erano a conoscenza di tutto ciò, ma lo hanno mascherato spontaneamente di modo che le elite economico-finanziarie facessero i loro interessi. 
Friedman e Phelps volenti o nolenti, hanno costituito vantaggi enormi alle elite economico-finanziarie. Da queste teorie è deriviata la isteria da deficit che vede il deficit appunto il peggiore dei mali dello stato. In realtà l’Italia e tutti i paesi sviluppati sono stati sempre in deficit prima e dopo la teoria e l’inflazione non è mai schizzata alle stelle né il deficit ha mai portato l’iperinflazione (inflazione al tasso del 50% ogni mese). Ma è proprio questa ostilità verso il deficit unita al concetto di completa deregolamentazione dei mercati l’arma con cui la grande industria e la finanza è riuscita ad arricchirsi così tanto dagli anni ’70 fino ad oggi. Queste idee letali sono state diffuse dai maggiori Think Thanks, ne sono stati creati di nuovi, e alla fine si è creato il mainstream. Se la BCE oggi ha per statuto lo scopo di mantenere stabili i prezzi, prima ancora di mantenere una situazione di pieno impiego, è proprio per queste teorie che fondano oggi tutto il pensiero economico dominante.

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